Lo skills mismatch, ovvero quella lacuna tra competenze richieste dal mercato del lavoro e ciò che realmente caratterizza il portfolio dei candidati, già nel 2018 aveva contribuito a far registrare un PIL mancato di 8mila miliardi di dollari l’anno. Questo dato, destinato a crescere, si proietta sul 2025 con un PIL mancato di 18mila miliardi di dollari su scala globale e, se pure è beninteso che la questione del PIL non sia un effetto unicamente dello skills mismatch, certamente quest’ultimo può essere una causa tra le più pesanti. Cosa significa avere un PIL mancato? Che non si è registrata quella vendita di prodotti e servizi in una misura tale da creare l'”equilibrio” del valore che caratterizza l’economia dello Stato. Una delle ragioni è riconducibile proprio al divario tra domanda e offerta tra azienda e candidato. A sottolineare ciò vi è il cosiddetto skill gap, una sorta di punta dell’iceberg dello skills mismatch, che si traduce in una carenza di risorse adeguatamente formate e in grado di rispondere alla richiesta di determinate figure di cui le aziende necessitano realmente. Non mancano le offerte ma mancano le persone con un profilo professionale adatto.
In particolare, da un’indagine condotta dal Boston Consulting Group a fine 2020 è emerso che un lavoratore su tre dei Paesi dell’Ocse risulta sovraqualificato o sottoqualificato. È evidente, dunque, che la formazione tradizionale tenda a profilare risorse anche molto ben strutturate (se pensiamo alla prima casistica di lavoratori sovraqualificati) ma non al punto tale da poter rispondere in pieno a ciò che il datore di lavoro cerca davvero per creare quella ricchezza specifica. Similmente anche il candidato che non abbia tutti i requisiti richiesti pesa alla stessa maniera: resta una lacuna da colmare perché continua a mancare il personale adeguato a un determinato tipo di produzione. Il punto è dunque fare in modo che non vi sia questa forbice. Osservando più da vicino il fenomeno risulta pertanto che gli aspiranti più giovani, pur compiendo studi accademici specifici, spesso non posseggono anche competenze prevalentemente tecniche e digitali reali che invece sono ora una priorità per il mercato del lavoro. Paradossalmente potrebbero essere meglio profilate le generazioni dei lavoratori più attempati e già presenti in azienda che però necessitano di una formazione continua interna che li renda capaci di affrontare queste nuove sfide a completamento del bagaglio di esperienze già maturato. Ciò vale anche per i lavoratori diversamente abili.
Il concetto di lifelong learning diviene quindi fondamentale per rispondere efficacemente a questo fenomeno: attraverso la formazione continua parrebbe infatti molto meno probabile una cristallizzazione della produttività grazie a risorse che normalmente potrebbero rimanere inesplorate; questo è quanto è emerso da uno studio effettuato negli USA dalla Society for Human Resource Management riguardo ai possibili modi per risolvere la questione più generale dello skills mismatch. A riprova di ciò vi è l’analisi del Boston Consulting Group dei cosiddetti sette mattoni o pilastri che favorirebbero l’uscita da questa impasse produttiva, tra i quali figura appunto il lifelong learning inteso come continua ricerca di perfezionamento di una data competenza. Oltre a questo importante aspetto, dallo studio sono emersi altri fattori fondamentali come: il possesso di solide skill di base, l’auto-realizzazione del lavoratore, l’analisi delle risorse umane basata su bisogni, abilità e talenti della forza lavoro, l’accessibilità delle offerte, la skill liquidity, che consenta anche il lavoro da remoto e l’apertura all’inclusività. Tutti aspetti, questi, che sono particolarmente attuali anche per via della situazione contingente dovuta alla pandemia da Covid 19 che ha visto, nel giro di pochi mesi, una accelerazione dell’utilizzo di soluzioni più smart per una larga fetta di lavoratori che, per forza di cose, si sono ritrovati a dover utilizzare canali alternativi e spesso anche più efficienti, per svolgere quelle mansioni che prima, forse più per abitudine, erano una prerogativa delle quattro pareti di un ufficio. Similmente a questo aspetto, dunque, si potrebbe pensare a un accorciamento dei tempi per mettere realmente in pratica i sette pilastri citati dall’analisi della BCG, ad iniziare dalla versatilità per giungere poi all’aspetto fondamentale della crescita di ognuno ovvero a quell’idea concreta di lifelong learning quale permanente e reale sviluppo di risorse, sia esterne che interne, con l’obbiettivo di creare lavoro e conseguente benessere per il singolo, per l’azienda e la società.
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